Ammetto di essere uscita confusa dalla visione di quest’episodio di The Following. In genere, arrivati a circa metà stagione, è possibile capire più o meno di fronte a che tipo di prodotto ci si ritrovi, quale strada abbiano intrapreso la narrazione e i personaggi e via così. Capire, ad esempio, quanto sul serio la regia e la sceneggiatura si prendano, quanto cupe o, al contrario, divertenti vogliano essere le vicende, che impronta si stia cercando di dare alla serie, se quella del thriller o del procedurale o del semplice drama, insomma, in definitiva, che direzione abbia imboccato lo show, cosa possiamo ragionevolmente aspettarci da un episodio o meno.
Questa semplicissima operazione è, all’alba del settimo episodio della prima serie, completamente impossibile per The Following. Che serie è The Following? È la serie del LOL involontario e della noia suprema come quasi tutti gli episodi dal secondo al quinto sembravano volere indicare? È la serie dallo sviluppo un po’ forzato ma dai tempi efficaci e dallo spirito intrigante del pilot? È la serie del “ma sì, mandiamola in caciara” come l’ultimo quarto d’ora del sesto episodio sembrava auspicare?
A giudicare dal settimo, non è niente di tutto questo. È qualcosa di ancora diverso.
Certo è che, quando The Following si mette in testa di seguire una linea narrativa solida, senza lasciarsi andare a forzature troppo surreali che per forza di cose incidono negativamente sulla tenuta della sospensione di incredulità dello spettatore, diventa uno show per lo meno godibile. Intendiamoci: siamo ben lontani dalle promesse del pilot, ma sarebbe ingiusto dire che Let Me Go sia un episodio che non regge. Regge tutto, e regge piuttosto bene, su entrambe le storyline che segue, e che alla fine si rivelano niente più che due facce della stessa medaglia.
Da un lato, le vicende di Hardy e Carroll sono quelle che effettivamente portano fisicamente in avanti la trama: avvalendosi dell’aiuto del proprio avvocato, Joe riesce a farsi trasferire in un’altra prigione (in Georgia) con la scusa delle violenze che Ryan gli ha inflitto, e delle quali le sue tre dita rotte sono ancora testimoni. Naturalmente, il trasferimento non è che un pretesto: “What’s in Georgia, huh?” gli chiede Ryan salutandolo per l’ultima volta prima di osservarlo andare via, ma la verità è che Joe non ha alcuna intenzione di arrivarci, in Georgia, ed il tutto non è che un elemento di disturbo, per distrarre l’FBI e coprire la sua fuga.
Fuga che, al solito, nella clamorosa incapacità delle forze di polizia, riesce ad avere luogo quasi senza il minimo intoppo, grazie anche alla preziosa collaborazione di Olivia, avvocato di Joe, che fa in questo episodio la sua ultima apparizione.
A questa storyline si aggiunge quella di Emma, la quale, ancora in fuga con Joey, viene aiutata da Bo (tipo per niente inquietante: letteralmente ricoperto di cicatrici e tatuaggi e con una spiccata predisposizione per lo scatto isterico), un “amico” di Roderick che però non sembra far parte del gruppo dei seguaci di Carroll. Apparentemente del tutto scollegate con la storyline principale, queste scene funzionano meno, ma non sono mai troppo lunghe o troppo stupide, in sostanza non arrivano mai davvero a dare fastidio, ed hanno comunque il pregio di mostrare gli avvenimenti che hanno luogo mentre Ryan si imbarca in una caccia all’uomo palesemente senza speranza, cercando di rimettere le mani su Carroll prima che quest’ultimo riesca a fuggire e riuscendoci solo per un paio di secondi, prima che Carroll ovviamente ci riesca comunque.
È sicuramente una buona cosa, narrativamente parlando, che Joe sia finalmente riuscito ad evadere dalla prigione. Troppa staticità non faceva alcun servizio positivo al suo personaggio, il quale a mio parere non è ancora riuscito a sfruttare le potenzialità espresse nel pilot. Probabilmente un po’ di libertà e l’essersi ricongiunto col figlioletto, con Emma e con gli altri follower gli farà bene. Infastidisce parecchio questo suo continuo ripetere “questo è solo l’inizio, vedrai tutte le cose che ho in serbo per te, Ryan, vedrai quanto malefico e geniale il piano che ho minuziosamente preparato si rivelerà!”, specie considerando il fatto che sono sette episodi che questo adagio viene ripetuto come un mantra quando in realtà niente di davvero interessante o geniale è mai davvero successo, ma il cambio di passo evidente che si è potuto notare negli ultimi due episodi della serie potrebbe essere di buon auspicio per il futuro, a patto che The Following accetti di ripartire da queste premesse e disconoscere tutta la noia inutilmente propinataci per la maggior parte della prima metà di stagione.
Ero tentata di buttare lì un FUCK YEAH (per gli standard della serie, dopotutto, si è trattato di un episodio piuttosto buono), ma poi mi sono detta che anche no.
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