“I’m so bored with you. I’m so bored with you and Edgar Allan Poe.”
C’è questo momento, verso il finale di The Final Chapter, in cui un Kevin Bacon probabilmente mai vicino al personaggio di Ryan Hardy come in quei minuti, caricando la propria voce di frustrazione, irritazione, rabbia e, be’, sì, noia, confessa al Joe Carroll di James Purefoy di non poterne più. Di essersi stufato, di averne piene le palle di lui e della sua palese incompetenza – non tanto attoriale, anche se la performance sempre sopra le righe di Purefoy a mio parere non è stata d’aiuto ad un personaggio che non aveva, strutturalmente, le spalle abbastanza “forti” da sorreggerla e renderla credibile, quanto più proprio per quanto riguarda la sua natura di serial killer e scrittore.
Joe Carroll è stato un flop. Sempre lontano dal centro dell’azione, inefficace, inefficiente, buono solo a buttar lì qualche battutina stantia su quanto “il bello dovesse ancora venire” e a vaneggiare di supposti piani che non si sono mai verificati, di supposti ruoli che nessuno ha mai abbracciato davvero, il tutto condito da una pretenziosità, da una spocchia assolutamente imperdonabile, e dall’utilizzo il più banale ed ovvio possibile di rimandi alla poetica di Poe così semplicistici da far rabbrividire anche un profano della materia.
Joe Carroll ci ha annoiati. Ci ha annoiati tutti, ancor più dell’evidente incompetenza dell’FBI nelle rare occasioni in cui si è ritrovata a fronteggiarlo direttamente, e in quelle meno rare in cui si è trovata faccia a faccia coi suoi accoliti. Joe Carroll ci ha annoiati, ed in quel momento lì, in quella frazione di secondo in cui Ryan Hardy si identifica con Kevin Bacon e lo mette nero su bianco, si ha quasi l’impressione che The Following sia tornato a fare il gioco che tanto bene gli era riuscito negli ultimi cinque minuti del pilot, confondendo testo e metatesto in un gioco del quale lo spettatore non sapeva bene se considerarsi parte integrante o semplice “vittima”.
Purtroppo, come il resto della serie ci ha abituato fino ad ora, si tratta comunque solo di un’impressione, che regge per lo spazio di una battuta e poi si perde nella solita marea di cliché, risoluzioni assurde/impossibili e dialoghi pretenziosi che vorrebbero essere intensi e profondi e invece risultano solo pieni di niente, perfino irritanti nel loro essere così vacui e didascalici.
Al termine dello scorso episodio avevamo lasciato l’agente Debra Parker sepolta tre metri sottoterra. La ritroviamo in questo episodio ancora nelle stesse condizioni, ma con un cellulare appositamente lasciato lì dagli adepti di Carroll perché lei potesse comunicare con l’FBI, che nel corso di uno scontro a fuoco riesce a catturare uno degli uomini che l’ha sepolta. Ryan e il collega Mike Weston prendono in custodia l’uomo e lo portano in un luogo non meglio identificato in cui, letteralmente, lo spremono finché non ottengono l’informazione di cui hanno bisogno. Grazie alla guida del criminale, i due riescono a raggiungere l’agente Parker e a disseppellirla, ma per la donna è già troppo tardi.
All’interno della bara di legno in cui la donna è stata sepolta, però, Ryan trova un manoscritto. È la bozza del nuovo romanzo di Carroll (il quale, aperta e chiusa parentesi, scrive con un tale abuso di puntini di sospensione che io mi meraviglio che qualcuno abbia deciso di pubblicargli il primo libro, figurarsi il secondo), naturalmente mancante dell’ultimo capitolo, quello che Ryan e Joe si suppone debbano scrivere insieme, per risolvere una volta e per tutte la vera questione che Joe non riesce a superare: il tradimento, o quello che comunque lui percepisce come tale, di sua moglie Claire e di Ryan, col quale sente di avere una connessione.
Ma dove sono finiti Joe e Claire? Be’, molto appropriatamente si sono rifugiati in un faro, luogo che, nel famoso romanzo di Carroll, era teatro della morte del protagonista. Ryan li raggiunge e, in un crescendo di dialoghi surreali in cui Claire si addossa la colpa per tutte le uccisioni perpetrate da Joe mentre erano ancora sposati, Joe le strilla di non provarci nemmeno a prendersi i suoi meriti e Ryan cerca di convincere Joe a non uccidere Claire perché sarebbe uno sviluppo scontato, già visto mille volte, e i lettori si annoierebbero (seriously), Ryan e Claire riescono a mettere Joe al tappeto e filarsela. Una volta messa in salvo Claire, Ryan e Joe possono finalmente scontrarsi faccia a faccia, ed ironicamente (ho detto ironicamente? Scusate, volevo dire banalmente) Joe Carroll trova la morte proprio nello stesso luogo in cui l’ha trovata il suo protagonista, un faro: rifugiatosi in una catapecchia di legno nelle vicinanze, viene raggiunto da Ryan, che prima lo pesta e poi assiste impotente alle esplosioni assolutamente impossibili di materiale infiammabile non meglio identificato che, prendendo fuoco, brucia la capanna, con Joe al proprio interno.
Morto Joe, Ryan e Claire sono finalmente liberi di tornare a casa e riprendere la loro relazione esattamente da dove si era interrotta anni prima. Curioso come Claire senta la priorità di andare a casa di Ryan, limonarlo, farsi una doccia e mangiare cinese prima di rivedere l’amatissimo figlio Joey per ritrovare il quale si era lanciata a braccia spalancata fra le fauci del leone stesso qualche puntata fa. Ma, dopotutto, agli sceneggiatori serviva una scusa per tenere Claire e Ryan nello stesso appartamento ancora per un po’, giusto il tempo di far piovere addosso allo spettatore l’ennesimo colpo di scena wtf-inducing: entrando all’interno dell’appartamento non si capisce bene come, è Molly a piantare un coltello nello stomaco di Ryan, ed è sempre lei, quando Claire esce dal bagno e trova l’uomo che ama disteso per terra e agonizzante in una pozza di sangue, a piantare un coltello anche nella schiena della donna, possibilmente (si spera) uccidendola.
Insomma, The Following chiude la prima serie con un protagonista sventrato, una co-protagonista femminile probabilmente morta e l’antagonista attorno al quale girava tutta l’organizzazione narrativa della stagione bruciato vivo. Una mossa che ricorda quelle di certi allenatori di calcio che, accorgendosi di aver sbagliato completamente formazione ed approccio alla partita, durante l’intervallo effettuano tutte le sostituzioni a loro disposizione, sperando di cambiare direzione all’incontro. Se è questo quello che Kevin Williamson intende fare, stendere un velo pietoso su quanto raccontato fino ad ora e partire con la prossima stagione su basi completamente nuove, potrebbe non essere una scelta del tutto sbagliata. Nel frattempo, però, quello che abbiamo visto resta, e di quello non si salva niente.
L'articolo The Following – 1×15 – The Final Chapter sembra essere il primo su Serialmente.