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The Following – 1×03 – The Poet’s Fire

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Il terzo episodio, nell’economia di una serie alla sua prima stagione, ossia al suo rodaggio, è fondamentale, direi quasi il passaggio cruciale che ne deciderà la fortuna, o per meglio dire se gli spettatori continueranno a seguirla. In genere il pilot getta le basi e l’interesse, presentando in nuce anche quelli che potrebbero essere i passi falsi successivi. The Following è l’esempio perfetto, da questo punto di vista. A un’apertura che catturava pur coi suoi difetti, seguiva poi un secondo episodio che minava anche troppo un’impalcatura aveva sì mostrato il fianco, ma anche gli anticorpi che potevano difenderla.

Al terzo episodio, The Following sembra ormai preda dell’infezione. Che già puzza di cancrena.

Vorrei sbagliarmi, ma la mia fiducia sta già crollando verso il basso. Le carenze sono tante, minate dall’aggressiva virulenza scatenata proprio dal genere scelto. Il thriller è un terreno pericoloso. Nel suo universo le azioni, gli eventi, i personaggi devono essere fatti non bene, ma benissimo. Il thriller non dev’essere realistico, ma iperrealistico. C’è differenza. The Following è al di sotto di entrambi i parametri. E vista la mente che sta dietro a tutto questo, restiamo ancora più esterrefatti.

 

Chi di stereotipo ferisce, di stereotipo perisce

Kevin Williamson è uno che si guadagna il pane scrivendo sugli stereotipi dell’horror, ma a quanto pare i suoi personaggi non li guardiano i film da lui sceneggiati se riescono a farsi infinocchiare a quel modo da una finta moglie maltrattata. Maggie che alla prima inquadratura puzzava di sospetto e quanto più tentavano, nel corso dell’episodio, di presentarcela come una vittima ancor più ci convincevamo della prima impressione. E il motivo è scontato: scrittura e interpretazione fanno leva sugli stereotipi; non, attenzione, secondo la direttrice colta e consapevole di Scream, ma lungo il sentiero accidentato della negligenza che apre il portone alle inverosimiglianze.

La prima rimanda proprio al modo in cui i nostri agenti scoprono il vero ruolo di Maggie, ossia in base a una parola di troppo detta da Jordy, che non a caso subito dopo si suicida perché non riesce a reggere a quel cumulo di fesserie che gli sceneggiatori l’hanno obbligato a fare e dire. E si suicida ingoiando le proprie bende, riempiendosi a morte bocca e gola per stroncare sul nascere qualsiasi altro motivo di vergogna per se stesso. Peraltro l’idea e la forma scelta per togliersi la vita sarebbe anche degna delle migliori trovate di Williamson, ma il contesto in cui finisce per appannarla e renderla anche un tantino risibile (come il personaggio).

Jordy si suicida e nessuno se ne accorge? Cioè questo tizio non è piantonato? Ci arrivo pure io a pensare che se a una mente debole gli smonti pure le fumose possibilità di vedere il suo mentore e instillandogli pure la consapevolezza di averlo deluso, il suo mentore, non dura molto. E i macchinari cui è collegato? Non registrano alterazioni del battito e altre cose mediche che dovrebbero subito far accorrere i medici? Come lo so io lo sappiamo tutti, è qui che il serial gioca sporco e in quel modo che mi fa perdere le staffe: considera lo spettatore stupido e ignorante, come se ormai non fossimo una platea altamente “sofisticatizzata” da (illustri) precedenti di genere passati in tv o al cinema.

E che dire di Meghan (alias la commessa del mini market)? Subito abbocca a un tizio sconosciuto e quanto meno sospetto, come infatti ci viene mostrato trenta secondi prima (ripeto trenta secondi prima) dalla cliente che appena lo inquadra fugge via come una scheggia. Senza contare che questa tizia sembra una cerebrolesa, sorride e resta sedotta da uno che fa quelle battute? E soprattutto in questa zona nessuno guarda un tg? Ah già scusate, lui indossava un cappello, quindi sarebbe stato impossibile riconoscerlo avendolo a trenta centimetri di distanza e ancora meno poco dopo. Mia cara, ma allora te le meriti le conseguenze. Tipo limonare duro in mezzo al nulla con uno sconosciuto e poi dire ehi il sesso però è fuori portata, sia chiaro. Chiarissimo. Per forza che quello ti fa fare testa e sportello. Tre volte. Che con una testa vuota si sa la botta rimbomba e non fa effetto subito.

La presunte qualità metatestuali del serial sono una buffonata. Carroll e i suoi non fanno che sottolineare che ogni azione è diretta a Ryan, che ciò che vediamo altro non è se un’impalcatura narrativa cucita al millimetro e applicata alla realtà anziché alla narrativa. Ma appunto, sono tutte cose dette. Ryan dice che si sente responsabile (improponibile il dialogo tra lui e l’agente Parker, del tipo se non avete capito la questione più semplice de mondo ve la ri-spieghiamo pure con tanto di sottolineature), Carroll parla alla telecamera e dice le sue mosse a Ryan, la coppietta di assassini dice al bambino di salutare Ryan e così via.

 

Ménage a quatre?

E arriviamoci, dunque alla coppia, al menage a trois, ora forse a quatre. Non ho ancora deciso se sono più inutili e noiosi loro al presente o nei flashback, riempitivi a voler essere buoni, che mostrano ciò che avevamo intuito sin dall’episodio scorso (a proposito di sottolineature inutili). Senza contare che Adan Canto e Nico Tortorella hanno una chimica tremenda, quando si scambiano baci ed abbracci dovrebbero trasmettere l’idea di una passione bruciante e irrefrenabile che va oltre le convenzioni e i piani e invece sembrano due ragazzini costretti a scambiarsi effusioni nelle prove di una recita scolastica.  L’abbraccio è quanto mai distaccato, in senso letterale: questi due esprimono la propria attrazione reciproca tenendo i rispettivi corpi a una distanza tale che ci si potrebbe infilare Emma nel mezzo.

Ma come reagisce Paul all’intimità ritrovata di Jacob ed Emma? Semplice, rapisce una fidanzata tutta per sé, perché vuole smetterla di fare il palo e dimostrare a tutti che lui non è mica geloso, e che questa incredibile botta di testa che potrebbe minare l’intero piano lui mica l’ha fatta perché si sentiva il terzo incomodo. Che poi mi chiedo: prima Jordy, assassino demente, ora Paul rapitore molesto con sentimenti di gelosia degni di un bambino di cinque anni; ma in base a quali parametri siano scelti questi adepti dal nostro Carroll (che, ricordiamolo è un professore di letteratura carico di fascino e charme intellettuale e si presume dotato di raffinatissima intelligenza se è riuscito a organizzare una setta tanto ramificata dal braccio della morte). Di Emma preferisco tacere, tanto continua a non convincere, è una cartina di tornasole che cambia personalità a seconda delle luci della fotografia e sempre secondo delle svolte da piattume psicologico: prima nanny perfetta ora killer spietata senza sentimenti e con l’inflessibilità di Hitler.

 

Chiara la svolta? Nel dubbio, digitiamo Ctrl + S

The Following dice le cose anziché mostrarle. Ci viene detto più volte che Joe Carroll ha fascino, ipnotizza. James Purefoy sembrava bravo nel pilot, ma al terzo episodio si è già sparato tutte le cartucce e non fa che rimestare. Io tutto questo carisma non lo vedo, e a proposito di flashback inutili: qualcuno mi spiega perché quel breve frammento di una sua lezione dovrebbe dimostrarne tutto il fascino luciferino? Un professore che ciancia di libero arbitrio e morale personale fatta su misura, shakerando Poe, Dostoevskij e Nietzsche un tanto al chilo lo si dovrebbe rinchiudere in manicomio o meglio ancora sbertucciarlo con una sonora risata dal fondo. Invece dal fondo c’è solo Ryan, rapito come tutti gli altri, Ryan che ogni volta non fa che sottolinearcelo a parole il carisma di questo assassino. E lo stesso vale quando bisogna introdurre qualche personaggio (leggi futura vittima o al massimo persona in pericolo a breve): ogni volta (ne ho almeno due solo in questo episodio) c’è Ryan che dice ah sì l’ho intervistato dieci anni fa quando facevo ricerche per catturare il serial killer… Direi quanto meno che è sintomo di una certa pigrizia di scrittura.

 

Who’s next?

Il finale di The Poet’s Fire peraltro getta una fetida luce anche sulla continuity. A ogni episodio un nuovo assassino che muore alla fine dello stesso o nel successivo. E non mi basta il contentino, lo specchietto per allodole costituito dai tre cretini nella baita, anche perché facenti parte di una storyline talmente noiosa e già vista che proporrei di farli fuori subito, tutti e tre, magari dal ragazzino che si rivela un apprendista più che veloce. Questo sì che sarebbe un gran bello shock. Della serie il sangue non mente – sempre che il ragazzino non sia figlio di Ryan e così apriamo pure la fetta DRAMMONE SENTIMENTALE.

E a riprova della sostanziale evanescenza di questi assassini settimanali, ho dovuto ripescare il nome del nostro piromane dall’episodio, riguardandone un pezzo, perché persino l’Internet Movie Database lo riporta come Masked Man (ovviamente per evitare spoiler). Il tale Rick, dunque, meglio noto come Masked Man fa la sua apparizione in coda all’episodio scorso per morire già alla fine di questo che stiamo analizzando. Poco. Specie se non riesce a correggere le falla d’immagine e credibilità (e dunque di minacciosità) di Jordy, che guarda caso, muore pure lui questa settimana. Così The Following non solo partorisce figli seriali assai evanescenti, ma se ne ciba pure a fine di ogni episodio, lasciandoci ogni volta con una sensazione sempre più inconcludente. E questo non è che uno dei tanti motivi che mi vedono costretto a sfoderare per la prima volta il bollino rosso.

Nota

Debra Parker, alias Annie Parisse, interpreta anche Kara Stanton, former partner di John Reese. In entrambi i casi non ci è sembrata molto sveglia a evitare le trappole.

 

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